Operare all'estero - Fiscando

Facile dire internazionalizzazione o operare all’estero

Problema: tema ricorrente di questi giorni è la necessità di internazionalizzare le pmi per dargli maggiori chance di sopravvivenza nel mutato contesto socio-economico che ha visto l’ingresso dirompente di fenomeni come la scarsità di materie prime e di personale. L’estero viene visto come l’eldorado! Ma cosa vuol dire operare all’estero? 

Soluzione: facciamo chiarezza coi termini

ExportVendere i propri prodotti o servizi oltre confine, ma senza avere una rete di vendita o produttiva. Le vendite dunque sono fatte a distanza.
InternazionalizzazioneEspandere la propria azienda oltre confine aprendo uffici commerciali o aree produttive in altri paesi.
DelocalizzazioneTrasferimento di processi aziendali oltre confine tagliando il settore nel nostro paese.

Evoluzione strategica

Le fasi che portano l’azienda oltre confine sono essenzialmente tre:

  1. Export: la conquista di un nuovo mercato dovrebbe essere sempre accompagnata da una fase di esplorazione del mercato provando a valutare se i propri prodotti sono vendibili. Questa fase prevede la partecipazione a missioni di imprenditori, fiere internazionali, contatti con enti locali di italiani all’estero, accordi di vendita con grossisti locali, pubblicità e più in generale tutto quanto riguarda la sfera del marketing.
  2. Internazionalizzazione di I° livello: quando la fase di export sta producendo gli obbiettivi sperati le aziende più strutturate creano degli uffici commerciali oltre confine. Questi uffici fungono da mediatore tra la cultura italiana e quella locale. I compiti di questi uffici sono lavorare a contatto con il pubblico, di cercare attivamente nuovi clienti e mantenere i rapporti con quelli già consolidati. Si occuperà di partecipare a fiere, convegni, relazioni con le istituzioni, visitare i clienti, predisporre le offerte da presentare, gestire gli ordini, fare ricerche mirate su prodotti specifici.
  3. Internazionalizzazione di II° livello: l’azienda passa dall’avere solo l’ufficio commerciale ad aprire uno stabilimento produttivo per il mercato estero. Agli stabilimenti,  magazzini, ecc.. italiani si aggiungono strutture all’estero come una sorta di duplicazione.

Delocalizzazione

Il termine col tempo ha avuto un’eccezione negativa in quanto negli anni ’90 ed inizio 2000 con l’imporsi del fenomeno della globalizzazione ha generato contrasti e strappi del tessuto sociale. Le pratiche di malcostume di spostare la produzione all’estero, mantenendo solo il marchio italiano o piccole aree di management, purtroppo sono ancora oggi presenti. Tuttavia negli ultimi anni ci sono prassi virtuose di delocalizzazione non più rivolte ad una mera speculazione economica, piuttosto a strategie di sviluppo e sopravvivenza aziendale. Trattare il tema della delocalizzazione di tipo virtuoso passa quindi da due aspetti fondamentali:

  • SOSTENIBILITA’: intesa come goal ONU per l’Agenda 2030 ovvero “soddisfare i bisogni della generazione presente senza compromettere quelli delle generazioni future”. 
  • “RESPONSABILITA’ SOCIALE DELL’IMPRESA”: definizione che l’UE già presenta nella Comunicazione 681/2011 della Commissione Europea al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo ed al Comitato delle Regioni ovvero l’impatto che l’azienda ha nella società.

La delocalizzazione virtuosa quindi deve generare un valore aggiunto sia per la società in cui l’azienda già opera sia per il paese dove la produzione verrà spostata ovvero creare uno stress facilmente riassorbibile. Quest’ultimo si genera quando il cambiamento porta ad una inevitabile rottura col passato e che in un tempo relativamente breve quest’impatto venga riassorbito lasciando, possibilmente, una situazione migliore della precedente.  

Esempio 1:

Il costo dell’energia elettrica rende poco competitivo il nostro paese per le imprese energivore quindi potrebbe essere necessario spostare alcune fasi produttive oltre confine per non uscire dal mercato. Le strutture italiane dovranno quindi essere riconvertite ad altre attività di maggiore valore per essere sostenibili. Una vetreria potrebbe spostare la produzione di massa nei Balcani o Nord Africa e convertire le strutture italiane e riqualificare il personale per il mercato di articoli di alto valore come oggetti di lusso, prodotti unici, artigianali, di pregio, ecc… 

Esempio 2:

In virtù della Yolo Economy non si riesce più a trovare personale ed il rischio di perdere nei prossimi mesi quello in carico è di circa il 20-30% (media statistica previsionale). La nuova tendenza occupazionale è quella di non volere più lavorare come prima, non inteso solo come orario o salario, ma anche come modalità operative. L’imprenditore del futuro, con commesse che non riesce ad evadere per carenza di personale, potrebbe decidere di riorganizzare l’azienda spostando le attività di basso valore aggiunto all’estero e riqualificare il proprio personale italiano ad altre mansioni. Questa operazione sopperirebbe alla carenza di nuovo personale e dovrebbe ridurre il rischio di perdita delle risorse umane in carico. Si rammenti che le risorse umane fanno parte di quell’enorme capitale aziendale rientrante nei valori intangibili.

“Si dice che il minimo battito d’ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo”. Questa frase, dal film The Butterfly Effect del 2004, può essere una metafora per descrive perfettamente il rischio di una delocalizzazione su scala mondiale. Nel 2011, per esempio, a seguito del terribile tsunami che colpì il Giappone il colosso General Motors ha dovuto fermare la produzione negli stabilimenti di Shreveport in Lusiana per la mancanza dei componenti, di piccolo valore, fabbricati nel paese del Sol Levante. 923 addetti che assemblavano i pick up Chevrolet Colorado e GMC Canyon sono rimasti fermi con ritardi nelle consegne e perdita di milioni di dollari. 

Insidie

Le bucce di banana sono essenzialmente tre:

  • PRODOTTI: articoli non funzionali al mercato che si vuole conquistare. Ogni cultura ha le proprie caratteristiche per cui un prodotto può essere gradito da una popolazione e non compreso da un’altra. Spesso l’aspetto di maggiore incidenza appare essere di fattore estetico ovvero di design, tuttavia ci sono articoli proprio non commercializzabili con successo. L’esempio classico potrebbe essere tentare di fare business vendendo vino in paesi a prevalenza islamica, il fallimento è praticamente assicurato.
  • MOTIVI: molti imprenditori si approcciano ad operare con l’estero pensando che sia la soluzione ai propri problemi. In realtà tanto più i problemi sono interni all’azienda tanto maggiori saranno i guai in fase di internazionalizzazione. Ingrandendo l’azienda i problemi si ingigantiranno a livello esponenziale. Strategico diventa il motivo per il quale si vuole internazionalizzare: espansione, opportunità, marginalità, ecc… e se il movente è per risolvere un problema interno, meglio desistere! 
  • FAI DA TE: nell’epoca delle informazioni disponibili e del mondo interconnesso è facile essere attratti dall’opportunità di risparmiare agendo in autonomia e risparmiando sui servizi di consulenza. Mai convinzione è più sbagliata! Delle strutture italiane di assistenza agli imprenditori all’estero che possono essere CCIAA, sedi delle associazioni di categoria, aziende specializzate nell’internazionalizzazione, ecc.. sono fondamentali per ridurre i tempi morti, gestire una diversa burocrazia, mediare gli aspetti culturali, ovvero ridurre gli sprechi ed i possibili fallimenti.

Nuovi mercati: grandi o piccoli?

Il fascino dei grandi mercati fatto di numerosi potenziali clienti con capacità di spesa si scontra inevitabilmente con la presenza di molta concorrenza, la necessità di investimenti sostanziosi e difficoltà di conquistare fette di mercato. La dimensione del mercato finisce per essere proporzionale allo sforzo per entrarvi ed avere successo. Una PMI alle prime armi con l’estero potrebbe, dunque, scegliere di operare in un mercato minore sfruttando i minori costi e la minore concorrenza per testare la propria struttura. 

La questione di scelta del mercato potrebbe essere spostata dalla dimensione del paese alla distanza. Maggiore distanza significa: problemi  e costi di logistica, crescenti differenze culturali, tempi morti elevati, problemi geopolitici ed ambientali, perdita di qualità, ecc… Il settore manifatturiero, pioniere agli arbori della globalizzazione della colonizzazione produttiva dell’Asia, da diversi anni sta tornando verso l’Europa o comunque paesi più vicini proprio in virtù delle succitate problematiche. Criticità evidenziati dall’aumento vertiginoso, per esempio, del costo del trasporto dei container dalla Cina all’Europa, dallo tsunami giapponese, dalla carenza di chip, dai problemi dello stretto di Suez, dal mercato dei dati e dal ritorno all’esigenza di avere imprese di settori strategici nel proprio territorio (es. agroalimentare di base) per avere un minimo di autosufficienza.

Esempio 3

Un’azienda italiana che vuole avere successo nei mercati teutonici potrebbe avviare la propria espansione passando prima per la Slovenia. Un mercato considerato minore che tuttavia è:

– confinante;

– di estensione territoriale ridotta che consente di gestire le merci direttamente dall’Italia con poche ore di viaggio;

– con presenza di popolazione bilingue italiano-sloveno nella quale attingere i primi collaboratori locali riducendo i problemi di formazione e comunicazione;

– costi del personale ridotti.

Un espansione potenzialmente low cost o comunque con costi nettamente inferiori che andare direttamente ad operare in Germania. Dalla parte dei prodotti Lubiana sarebbe un ottimo terreno di test grazie alla presenza di una forte e storica minoranza tedesca. 

Il rischio economico sarebbe limitato al massimo.

Una volta consolidata la Slovenia il passaggio alla Germania seguirebbe lo stesso iter: vicinanza delle due aree estere, affinità culturali viste le presenze di importanze minoranze, possibilità di opportunità di collaboratori bilingue, ecc.. con il vantaggio che si ha già esperienza internazionale, i prodotti sono già stati testati dalla comunità germanica e se ne conosce il gradimento.

L’estero per le PMI italiane può essere sicuramente l’Eldorado e come tale non tutti sapranno trovarlo o goderne i frutti. Partire in anticipo sulla concorrenza, con una strategia chiara, un’adeguata organizzazione e consulenti esperti nel settore sarà sicuramente una determinante vincente.

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